Il club delle lettrici compulsive

Il bambino con il pigiama a righe – John Boyne

Il bambino con il pigiama a righe Book Cover Il bambino con il pigiama a righe
John Boyne
Narrativa - Romanzo storico
Bur Rizzoli
2013
Digitale - Cartaceo
211
Patrizia Rossi

Leggere questo libro significa fare un viaggio. Prendere per mano, o meglio farsi prendere per mano da Bruno, un bambino di nove anni, e cominciare a camminare. Presto o tardi si arriverà davanti a un recinto. Uno di quei recinti che esistono in tutto il mondo, uno di quelli che ci si augura di non dover mai varcare. Siamo nel 1942 e il padre di Bruno è il comandante di un campo di sterminio. Non sarà dunque difficile comprendere che cosa sia questo recinto di rete metallica, oltre il quale si vede una costruzione in mattoni rossi sormontata da un altissimo camino. Ma sarà amaro e doloroso, com'è doloroso e necessario accompagnare Bruno fino a quel recinto, fino alla sua amicizia con Shmuel, un bambino polacco che sta dall'altro lato della rete, nel recinto, prigioniero. John Boyne ci consegna una storia che dimostra meglio di qualsiasi spiegazione teorica come in una guerra tutti sono vittime, e tra loro quelli a cui viene sempre negata la parola sono proprio i bambini.

Il bambino con il pigiama a righe è un romanzo di John Boyne, pubblicato da BUR e molto conosciuto soprattutto grazie alla trasposizione cinematografica del 2008.

il bambino con il pigiama a righe

Immergersi nella lettura di questo romanzo è come diventare amici del protagonista, Bruno, un piccolo bimbo tedesco che ama esplorare, giocare e ridere e, nel 1942, dal centro di Berlino si trasferisce con la famiglia nei pressi di un campo di sterminio, dove il padre è il comandante in carica. Agli occhi del figlio, che non ha ben chiaro che lavoro faccia, il padre è importante e imponente nella sua splendida uniforme, tanto basta per vederlo quasi come un supereroe.

Bruno, di soli nove anni, a differenza della sorella Gertrude è ancora ingenuo e non comprende del tutto le dinamiche messe in atto contro gli Ebrei e, nonostante gli venga vietato dai genitori, si ritrova a passeggiare ed esplorare nei pressi della loro nuova casa finché non si imbatte nel recinto che attornia l’enorme costruzione di mattoni rossi con un grande camino nel centro che vede dalla sua camera.

Bruno: «Potresti venire a cena da noi una sera, ti va?»
Shmuel: «No, io credo di no, come passo la rete? »
Bruno: «Ma questa è per non far scappare gli animali, no?!»
Shmuel: «Gli animali? No, è per non far scappare le persone!»
Bruno: «Cioè, vuoi dire che tu non puoi uscire? Perché? Hai fatto qualcosa che non va?»
Shmuel: «Io sono ebreo.»

Shmuel, il bambino che Bruno incontra e che “vive” oltre al recinto di filo spinato, è polacco ed è solo una delle persone che abitano dentro al recinto, tutti vestiti uguali, con un pigiama a righe.
Agli occhi del protagonista, però, l’altro bambino non è un prigioniero ma un possibile amico, un bambino come lui, un essere umano che secondo la sua logica dovrebbe giocare e poterlo venire a trovare a casa, come si fa comunemente con i compagni di classe.

Chi decide chi può indossare il pigiama a righe? Se gli ebrei non sono umani, allora cosa sono?

I due bambini inizieranno a conoscersi, scoprendo di essere nati lo stesso giorno e per mesi i loro incontri saranno le uniche cose positive che Bruno riuscirà a trovare in quel luogo desolato, dove la madre si sta rattristando sempre più, la sorella sta diventando una fanatica nazista e il precettore privato non dà loro un attimo di tregua… finché un bel giorno si parla di un nuovo trasloco e Bruno, all’idea di lasciare il suo nuovo amico, si fa venire un’idea per un ultimo gioco assieme.

Non vi parlerò del finale di Il bambino con il pigiama a righe. Chi ha visto il film sa benissimo cos’accadrà e, per quelli che ancora non si sono imbattuti nel libro o nella trasposizione cinematografica, resterà un piccolo mistero.

Bruno e Shmuel, uno ingenuo e uno forzatamente adulto nell’anima, sono l’esempio di come un bambino veda con gli occhi dell’innocenza anche le nefandezze più profonde commesse dagli adulti. Anche i luoghi e le persone vengono “distorte” e viste dal punto di vista infantile del protagonista, tanto che il Führer diventa Furio e il campo di Auschwitz è Auscit.

Bruno è un bambino buono, anche se figlio di un adulto che di buono non si sa se abbia ancora qualcosa, ciò dimostra come tutti nascano “tabula rasa” e siano le esperienze, le conoscenze e le ideologie a plasmare l’adulto che saremo.

Boyne è un maestro nel trattare il tema dei campi di sterminio, visti con gli occhi di chi non li comprende e non dovrebbe viverli. L’amicizia che vince sull’odio e sulle ideologie è una forte metafora di speranza, di ribellione e un segnale che nelle generazioni future risiede il meglio di noi. Ci sarà sempre, fortunatamente, qualcuno che si opporrà ai despoti e ai mostri, che combatterà per chi non può o non riesce a farlo.

Avete letto Il bambino con il pigiama a righe? Vi aspetto per commentarlo.

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NdA: il libro mi è stato fornito perché potessi recensirlo. Questo non ha influito sulla mia opinione finale.

 

Pubblicato da Sara Emme

Sono Sara e sono una lettrice compulsiva. Ho vissuto in Cina dal 2009 al 2017. Oltre ai libri, amo i viaggi, la fotografia, i gatti e la buona cucina. Appassionata di Harry Potter e del magico mondo creato dalla Rowling, passo la vita trascinando il mio povero marito (sant'uomo!) per i parchi a tema sparsi per il mondo.

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