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L’ora di religione – Blog Tour La Materia alternativa – Laura Marzi

L’ora di religione è la tappa che ho scelto per partecipare al blog tour di La materia alternativa, un libro di Laura Marzi, pubblicato da Mondadori. Prima di cominciare, vi lascio il banner dell’evento in modo che possiate recuperare le tappe delle altre bravissime blogger che vi hanno preso parte e farvi così un’idea più completa del libro.

l'ora di religione

Il libro:

La materia alternativa – Laura Marzi

l'ora di religione

I ragazzi che non fanno l’ora di religione si chiamano Hossein, Amal, Safia, Michele, Meng e sono bengalesi, egiziani, italiani, cinesi. La protagonista di questa storia insegna loro una materia che si definisce a partire dal suo contrario, una materia che ai consigli di classe non conta nulla, che non ha programmi e, nel caso dell’istituto professionale in cui ci troviamo, non ha nemmeno un’aula.

Nelle sue ore sparpagliate tra mensa, aula video e palestra, si inventa uno spazio in cui parlare con i ragazzi di sesso, di rapporti di potere tra uomini e donne, di discriminazione, razzismo, pornografia. Si appropria di questa zona franca, questo spicchio di far west tra le ore di inglese e matematica, per mettere in discussione le loro idee sull’identità di genere, l’orientamento sessuale, il consenso. E per farsi ascoltare da questi adolescenti, che a volte non sanno nemmeno l’italiano e magari dopo la scuola spacciano o fanno da genitori ai loro fratelli, li provoca, li spiazza, chiede la loro opinione, ascolta la loro musica, racconta di sé e della sua visione del mondo.

Se in classe è appassionata e intransigente, fuori dalla scuola la sua vita è caotica e piena di crepe; abita in un monolocale di diciotto metri quadri e pratica con convinzione la materia alternativa all’amore: cerca gli uomini quando è triste e si annoia, da loro vuole il gioco, la tenerezza, il piacere, rifugge dalla religione della coppia e non crede che fare un figlio e costruire una famiglia possa dar senso a una vita.

La seguiamo per un anno scolastico dentro e fuori dalla classe – tra un collegio docenti, un flirt nato in un negozio di casalinghi e un tentativo di spiegare il sessismo ad Amal e Nadir – in un momento cruciale della sua esistenza, in cui è costretta a guardare in faccia alcuni dei suoi nodi irrisolti. A tenere insieme, in un cortocircuito fertile, una riflessione necessaria sul modo in cui facciamo scuola oggi in Italia e il ritratto di una giovane donna anticonvenzionale sono l’intelligenza, la dolcezza e l’autoironia del personaggio a cui Marzi regala corpo e voce.

Per quanto mi riguarda, l’esistenza stessa dell’ora di religione è sempre stato un tema caldo.

Non faccio parte di una famiglia spiccatamente religiosa, semplicemente di una convenzionale. Alla fine degli anni ’80, quando sono nata, il dibattito religioso non era poi così centrale nelle vite dei miei genitori, loro erano stati battezzati, ok, avrebbero battezzato i loro figli, più per convenzione che per convinzione. Lo facevano tutti, perché no.

Allo stesso modo erano vissuti gli altri sacramenti, il catechismo e, di conseguenza, la partecipazione all’insegnamento della religione cattolica a scuola.

Non ricordo che ci fosse l’ora di religione alla scuola materna, capitemi, sono passati innumerevoli anni, ma c’è un motivo per cui ricordo che ci fosse quando frequentavo le elementari: per la prima volta c’erano bambini che non se ne avvalevano. Ed eccolo lì, l’embrione della consapevolezza che qualcosa non tornasse.

La mia famiglia si era trasferita a Genova subito dopo il matrimonio, di lì a un anno sarei nata io, e la mia nascita fu salutata, oltre che da un nutrito stuolo di parenti in trasferta, da un condominio di giovani coppie entusiaste di avere una piccina con cui fare pratica prima di mettere in cantiere la propria famiglia.

Tra queste coppie si ergeva, per esperienza e gentilezza, la famiglia del piano di sopra, che aveva già una bambina un po’ più grandicella, e che si occupò di guidare i miei giovanissimi genitori in quei primi anni della mia vita.

I miei adorati vicini e la loro splendida figlia avevano, a loro volta, una quantità di amici nutritissima, tutti fedeli di una religione diversa dal cattolicesimo e tutti parte di una comunità affiatatissima. Naturalmente, molti avevano bambini più o meno della mia età, alcuni dei quali frequentavano la mia scuola.

Torniamo a noi, quindi, e alla piccola Sally di sei anni che comincia entusiasta la scuola (ah, giovane ingenua, non sapevi che dà dipendenza?) e che scopre con gioia che alcune delle amichette con cui era solita giocare la domenica pomeriggio nel cortile di casa sono a pochi banchi di distanza.

Immaginate dunque lo sconcerto quando, senza alcuna ragione apparente, una delle maestre invitò queste bambine a lasciare l’aula per fare lezione di religione.

Perché? Dove sarebbero andate? Chi sarebbe stato con loro? Non ci facevano nemmeno andare ai servizi da sole, com’era possibile che potessero stare un’ora in corridoio senza maestra? E a fare che?

Credo, ma non ne sono sicura, che si occupasse di loro una bidella (sì, ai tempi lə chiamavamo così, dopo sono sopraggiunti altri termini, ma parliamo dei primi anni ’90), che magari facessero i compiti, ma non mi risulta che ci fosse un programma alternativo. Non ho mai chiesto, e c’è un motivo.

Perché per loro era un tasto doloroso.

Fu così che, a soli sei anni, capii il significato profondo della discriminazione.

Vedere bambine come me che uscivano dall’aula con gli occhi bassi, che si sentivano diverse perché non venivano coinvolte nel lavoretto da portare a casa per Pasqua o per Natale, che si preoccupavano costantemente perché in primavera sarebbe potuto venire il prete a benedire la scuola, o il vescovo (chissà perché) a pretendere che gli si baciasse l’anello.

Me lo ricordo ancora quel giorno.

Che schifo, perché avrei dovuto baciare l’anello di uno che non conosco, dopo che l’ha sbavato mezza scuola? Anche quel ragazzetto antipatico lì che ha sempre il moccio al naso.

Così feci finta.

Ma mi è rimasto di traverso il gesto.

Saranno passati trent’anni, ma è noto che io non porti rancore, vero?

In ogni caso, fecero finta anche le mie compagne non cattoliche. E quello fu il momento in cui capii che, forse, nemmeno io volevo essere cattolica.

Tenete conto che a sette anni avevo cominciato il catechismo, quindi andavo anche in chiesa tutte le domeniche e, per quanto mi riguardava, tutto quello che sentivo all’interno di quelle mura, aveva l’aria di una cosa che non mi tornava. Credo di aver fatto impazzire la mia prima catechista con domande tipo “ma come in sette giorni, e il Big Bang? E l’evoluzione?” (Grazie, Piero Angela)

La stessa cosa succedeva a scuola, io provavo a far quadrare i conti, a volte con ipotesi molto fantasiose, ma le risposte della maestra erano diverse da quelle della catechista, da quelle di mia madre, da quelle di mio padre, da quelle di Piero Angela.

E le mie amiche, settimana dopo settimana, continuavano a dover uscire dall’aula, con gli occhi bassi e le guance arrossate dall’imbarazzo, senza che io riuscissi a capire come potesse essere permesso.

Era (ed è) permesso da una serie di leggi che nascono dopo l’unità d’Italia, attraversano con numerose modifiche la prima parte del ‘900 e che culminano con il Concordato, che, nel 1929, estese l’ora di religione anche alle scuole medie e superiori quale «fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica». E io che pensavo che la grammatica, le scienze, la matematica e le lingue straniere fossero il vero fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica. Che ingenua.

Nel 1984 vi furono delle modifiche al concordato. In meglio? Solo apparentemente, visto che di fatto si estese l’insegnamento della religione cattolica anche alle scuole materne!

Ora, il fatto che l’ora di religione, ai miei occhi, fosse una palese discriminazione di bambini in età davvero delicata è abbastanza palese, ma si potrebbe obiettare che, però, in molti casi durante quelle ore si confrontano le varie religioni, se ne studia la storia, si impara ad amare il proprio prossimo.

Come lo ami il tuo prossimo se è fuori dall’aula?

In ogni caso, per quanto sia vero che ALCUNI insegnanti cercassero di evitare di replicare pedissequamente le lezioni di catechismo che tutti noi seguivamo già al di fuori della scuola, questo non è sempre vero. E nemmeno così ortodosso, perché, se guardiamo a quello che sancisce il concordato scopriamo che l’insegnamento debba essere impartito in conformità della dottrina della Chiesa Cattolica.

Avete mai sbirciato i programmi di religione attualmente in vigore? Indovinate un po’? Io sì. Se vi va di divertirvi un po’ vi lascio qui i programmi della scuola secondaria di secondo grado.

Se scorriamo i vari punti, ci rendiamo conto di come, al di là dei confronti, l’ora di religione sia marcatamente confessionalista: non è un’ora di filosofia o storia delle religioni, non è un’ora di educazione alla diversità o alla comprensione del prossimo, è catechismo.

Un catechismo mascherato, banalizzato, che viene imposto anche con stratagemmi subdoli, quale per esempio la pressione perché l’ora di religione sia inserita in mezzo alle ore della mattinata, e non all’inizio o alla fine, quando sarebbe più comodo per i genitori che non si avvalgono dell’insegnamento.

Altrettanto si può dire dell’istituzione dell’ora alternativa. Già il nome mi irrita, perché presuppone che sia altro rispetto a una norma. Non è accettabile che, in uno Stato laico, ci debba essere un’ora che sia “alternativa” a qualcosa che non dovrebbe essere obbligatorio.

Quello che colpisce è che, ad oggi, i confini di questa ora, che dovrebbe essere un diritto di tutti coloro che professano religioni diverse da quella Cattolica o che non ne professano nessuna, siano molto fumosi.

Le opzioni sono:

  • attività didattiche e formative;
  • attività di studio e/o di ricerca individuali con assistenza di personale docente;
  • libera attività di studio e/o ricerca individuali senza assistenza di personale docente;
  • non frequenza della scuola nelle ore di insegnamento della religione cattolica.

Ci rendiamo perfettamente conto di quanto queste opzioni siano poco chiare, perché, se per i ragazzi delle scuole superiori, che il più delle volte si muovono in autonomia, la non frequenza può risultare una buona occasione per andare a prendere un cappuccino al bar sotto la scuola (anche qui, con tutti i rischi del caso, visto che spesso si tratta di minorenni), questo non è, per ovvie ragioni, possibile per ragazzi e bambini delle scuole di grado inferiore, che raramente possono essere presi e riaccompagnati dai genitori, che, nella maggior parte dei casi, hanno un lavoro.

Le attività di studio individuali, con o senza il docente, o le attività didattiche formative non sono ben specificate, quindi l’effettivo programma di queste ore è lasciato del tutto a discrezione delle scuole, cosa che non garantisce sull’effettiva omologazione di un sistema educativo statale che dovrebbe dare a tutti gli stessi strumenti.

Ci chiediamo inoltre, come vengono scelti gli insegnanti di religione?

I requisiti per insegnare sono:

  • titolo accademico (baccalaureato, licenza o dottorato) in teologia o nelle altre discipline ecclesiastiche, conferito da una facoltà approvata dalla Santa Sede;
  • attestato di compimento del regolare corso di studi teologici in un seminario maggiore;
  • laurea magistrale in scienze religiose conseguita presso un istituto superiore di scienze religiose approvato dalla Santa Sede.

Nella scuola primaria, oltre ai requisiti già elencati, ci sono altre due opzioni:

  • essere sacerdoti, diaconi o religiosi in possesso di qualificazione riconosciuta dalla Conferenza episcopale italiana in attuazione del can. 804, par. 1, del Codice di Diritto Canonico e attestata dall’ordinario diocesano.
  • L’insegnamento della religione cattolica può essere anche impartito da insegnanti della sezione o della classe purché in possesso di uno specifico master di secondo livello per l’insegnamento della religione cattolica approvato dalla Conferenza Episcopale Italiana.

In ogni caso, gli insegnanti, dopo aver superato un concorso, vengono scelti a insindacabile giudizio della curia, alla quale devono chiedere conferma ogni anno e che può sollevarli in caso di condotta non coerente con i principi della Chiesa. Tipo la convivenza, avere figli fuori dal matrimonio, e amenità simili.

Quindi è la curia a pagare i suoi insegnanti? Nossignore.

Li paga lo Stato Italiano, come tutti gli altri docenti. Con le tasse di tutti.

Inutile dire che, tutto questo, ha del paradossale.

Sono molte le associazioni italiane che cercano di fare pressione perché questa situazione cambi, non solo quelle di altre confessioni religiose, come i Valdesi, ma anche laiche, come l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR) che, da anni, si batte almeno per fare sì che sia sempre garantita l’ora alternativa e che venga regolamentata in maniera univoca e uniforme.

Quali sono i vostri pensieri in merito? Voi avete seguito l’ora di religione? Mi piacerebbe leggere le vostre esperienze, confrontarmi con voi nei commenti e sapere come vedete questo tema così delicato.

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