Il club delle lettrici compulsive

Safe Haven: Frank T. Alien. L’intervista

Oggi partecipiamo al blog tour di Safe Haven, scritto da Frank T. Alien, un autore moooolto particolare che… no, non vi anticipo nulla! Prima di lasciarvi all’intervista, vi lascio il banner dell’evento in modo che possiate recuperare le tappe degli altri bravissimi blogger che vi hanno preso parte.

safe haven

Salve, Frank. Grazie per essere qui con noi. Partiamo subito con una domanda a bruciapelo, per conoscerci un po’. Ci parli di lei: chi è Frank T Alien?

Friedrich Nietzsche ha detto ‘Che importa di me?’ Non so in quale contesto gli sia uscita, è una dichiarazione letta in coda alla 4a di copertina di Q, un romanzo di Luther Blissett (Wu Ming) finito di recente: il collettivo lo riferiva al loro scrivere in incognito, poi si sono svelati; io non ne ho intenzione. Sono uno che non vuole si sappia di lui direttamente, spesso anche in privato: non perché insincero bensì spietato, senza peli sulla lingua riguardo a sé stesso. Oggi preferisco soprattutto esprimermi attraverso quanto compongo, esser letto e suscitare in qualcuno delle sensazioni tipo quelle che provo da quando ho imparato a leggere e mi ci perdo o ritrovo, e da cui continuo a imparare. Ma c’è altro: non sono autorizzato a dire di me, od oltre una certa misura a chiarire dettagli sui miei scritti. Né riuscirei: circa me, Alien si traduce in tutte le sue coniugazioni. E mai sarei capace di spiegare perché ho un nome dal maggior uso polimorfo possibile perfettamente applicato ai miei che dichiaro ‘romanzi storici universali’, ossia storie vere. Non lo sconfesso, sono vicende che prima o poi potrebbero accadere ovunque. Però rispondo a un Ente; il quale, per motivi e in modalità che non sono autorizzato a rivelare, mi permette di viaggiare nello spaziotempo pure mentale a caccia di storie: a Esso ho giurato tale riserbo, incluso su ciò rispondente o no a realtà nei miei romanzi. Come accertare, dunque, se affermo il vero? Non sono autorizzato a rivelarlo; e dal mio punto di vista conta poco: chi può dire quanto d’inventato figuri in questo o quello dichiarati storiche realtà?

Quanto tempo dedica mediamente alla scrittura?

Dipende. In questo periodo sulla Terra dove sono occupato a promuovere Safe Haven, poco tranne quel che concerne la promozione in sé. Quando scrivo o riscrivo un testo ma anche più d’uno insieme, non smetterei mai e dimentico di mangiare, dormire. Oppure ci sono momenti dove non ne posso più anche di scrivere, riscrivere, correggere. Nel caso si prolunghino, ho bisogno di riannodare fili: qualche volta posso unicamente aspettare che il periodo-no passi; in altre occasioni, l’Ente del quale accennavo è utile a ritrovarli in me. Non pretendo d’esser creduto o imporre teorie: metto le cose sul tavolo così come stanno per me, conscio delle loro criptiche particolarità. Mica un paravento, l’Ente, né prove di teaser… benché in miei testi quaggiù inediti se ne dica maggiormente; giocoforza, però, non a gradi espliciti.

Cosa vuol dire per lei scrivere?

Un duro lavoro. Fosse uno sport, sarebbe quadrathlon: se non hai un nome o sponsor alle spalle e un editor al fianco? Prima disciplina: concretizzare uno o vari spunti significativi quanto originali contenenti ‘what if’ e ‘5 w’, intrecciarne schemi funzionali, mettere il tutto nero su bianco da cima a fondo, sono fatiche che tipicamente spettano all’autore. Come pure, senza numi tutelari, gli tocca valutare oggettivamente; ma solo da soggettive, se nessuno riscontra ‘forse sì, magari no, buona idea’. Successivamente bisogna migliorare il lavoro partito dalla bozza quindi sviluppato nelle prime stesure: mettendoci il massimo e levando il superfluo durante più d’una revisione; questa, la seconda prova. Pubblicazione e promozione sono specialità a sé che poco o nulla hanno da spartire con le precedenti: come iniziare dagli scacchi, proseguire col bridge poi trovarsi catapultato sul ring per un match di boxe; infine, al volante in un rally. Quest’esperienza, sperimentata specie sulla Terra, è servita a capire che se pubblicherò ancora (soprattutto qui) sarà di certo sempre comunque no-eap*; ma nemmeno gl’interminabili, umilianti iter sul ring e al volante richiesti dal no-eap: riaccadesse, pagherò chi impagina, comprerò l’ISBN e metterò il testo sulle piattaforme digitali accordandomi con gli stampatori qualora qualcuno volesse acquistare il cartaceo in pod, pagando inoltre un ufficio stampa per promuovere il testo; che, se di uno sconosciuto, in mancanza di esposizione morirebbe sulle piattaforme o negli scaffali posteriori delle librerie – ove mai c’arrivasse.

E ora veniamo al libro: come nasce l’idea di Safe Haven? È rimasto sempre fedele all’idea iniziale oppure, durante la scrittura (o anche a romanzo ultimato), ha deciso di cambiare qualche dettaglio nella trama, qualche scena o qualche personaggio?

L’idea nasce da una chiacchierata con un grafico conosciuto tempo fa. Alla mia domanda ‘Comporre fumetti, no?’ già la sua faccia rispose non interessargli. Però aggiunse d’aver pensato e disegnato una breve striscia: Un poliziotto di quartiere fa il giro dei suoi confidenti per strada. Alcuni addirittura li paga, alle mezze calzette lascia fare il proprio lavoro e chiede che siano loro a pagarlo. Quando esige il pizzo da uno spacciatore e quello gli mette in mano i soldi, lo appende al muro perché sarebbero pochi. Ottenutone altri spiccioli, lo lascia andare e torna a casa. Incrocia il figlio che sta uscendo. ‘Pa’, sono a secco: mi sganci qualcosa?’ ‘Per farci?’ ‘Niente, la serata: un panino e un’aranciata…’ ‘Niente birra, ok?’ ‘Tranquillo, pa’: al ritorno, alito control!’, rassicura il ragazzo ricevendo il denaro or ora estorto. Poco più in là, trova chi cercava: il pusher appena taccheggiato da pa’. Di quest’idea non è rimasto nulla. Però, compongo romanzi storici universali – se veri o no, volendo il giudizio lo diano gli altri: quando ciò in essere sul pianeta Ton-Do m’ha raggiunto la mente – dove (come dentro le realtà) sogno, son desto e follia non hanno veri confini – è sovvenuta la strip di Gigino. Che m’ha spinto a citarlo: chi di… ferisce, di… perisce. Un personaggio è emerso in fase finale di riscrittura: m’ha inevitabilmente costretto a modificare tante sequenze narrative e in senso lato le cellule ritmiche. Due, legati a esso e altri, si sono presentati poco prima del ‘visto, si stampi’: pure qua, riscrivi ancor più al volo il tutto. Succede. Ma accetto volentieri gli elementi che non potevano mancare, anche se giunti fuori tempo massimo: fanno parte della storia. Pure questo è un motivo per cui non mi trovo coi ritmi di certa editoria (compresa quella terrestre) e in futuro preferirei eventualmente rilasciare ulteriori lavori solo quando messo il punto, oltreché autonomamente.

Qual è la chiave di lettura di Safe Haven?

Il padronismo, da varie visuali. L’influenza di soldi e potere sui destini umani, quanto il merkato sia volutamente slegato dalla cosiddetta economia reale. Per converso, come troppi borghesi e poveri s’affannino in lotte di sottoclassi che rafforzano il ricco passandogli altre munizioni contro sé stessi volendo diventare come o peggio di lui piuttosto che unirsi per fargli il culo. Forse sta nella natura delle cose la più o meno inconscia attitudine dentro molti a farsi usare e gettare prendendosela poi con qualcuno, ma a cazzo di cane. Mi scuso per le parolacce ‘unirsi’ e ‘cane’.

Tra tutti i personaggi di Safe Haven, a quale si sente più affine?

In realtà a nessuno, anche perché se pure fosse ho imparato a tener separati autore e scrittore. Con Mia Eloro condivido una certa insofferenza verso i soprusi. Mi sento non lontano da Molly Capolpòsa in quanto spirito solitario: una dura dal cuore tenero che si scioglie con Mia. In qualche vizio e immaturità, avverto prossimo Ion; ho delle affinità con la sua faccia di cazzo… ma non quella capibile unicamente da chi legge Safe Haven. Comprendo anche l’ipersensibilità alla bellezza femminile del cane da cancello Alvise Conderà: di lui, solo questo. Fael Ash Eloro, il padre di Mia, ha ‘bipolarismi’ simili ai miei: dal vulcanico al lunare. Infine, grande simpatia per il gesto compiuto da Lev Tallòk.

La sua citazione preferita di Safe Haven:

Mia ha la pistola puntata su Cosimo Vatuttammé; lui: «Che cazzo vuoi?» Relativo, il cazzo: d’uso comune, e intercalare fra i plurimi d’un variopinto ventaglio. Leggenda vuole ‘cazzo’ prima parola pronunciata dal precoce Cocò bebè in un’infanzia invece notoriamente senza traumi né carenze affettive o assenze genitoriali; risalenti a poco dopo e qualificatisi ex aequo, ‘pezzo di merda-stronza-puttana’: loro elisione, adesso, dovuta alla cazzo di pistola.

La copertina di Safe Haven è molto particolare. Cosa rappresenta? Hai avuto voce in capitolo per la scelta?

Rappresenta ciò che ognuno ci vede; nell’opera astratta di Steve Johnson, io ho riconosciuto una grotta marina dove cercare e forse trovare riparo: il porto sicuro. Sì, l’ho scelta personalmente.

È soddisfatto del risultato ottenuto o cambierebbe qualcosa?

Qualcosa aggiusterei sempre, nel testo; dentro ogni testo: ma inversamente ai succitati tempi editoriali, così non si finirebbe mai di dar pennellate o sfumarle asciugando col tampone.

Se da Safe Haven fosse tratto un film, chi sceglierebbe per interpretare i protagonisti?

Safe Haven ha oggettivamente un appeal cinematografico: è stato progettato per realizzarne una graphic-novel, ma gli eventi lo hanno impedito; trovare produttori cinematografici sarebbe stato ancor più complicato che pubblicare un libro no-eap, come poi è andata. Per Mia Eloro, Abbie Cornish o Margot Robbie o Kaya Scodelario; per Molly Capolpòsa, Denise Capezza. Ion On Kred? Andrea Amato. Per Cosimo Vatuttammé, mi sarebbe piaciuto il compianto James Gandolfini; ripieghi di tutto rispetto, John Travolta o Tom Hanks ingrassati, Salvatore Esposito invecchiato, Carlo Verdone però con almeno 20 cm di altezza in più.

A quale genere di lettore consiglierebbe Safe Haven?

Mi è stato detto che non rientra nel mainstream. Siccome l’ho sentita da più d’un addetto ai lavori, qualcosa di vero ci sarà. Io continuo a dissentire in gran parte, al limite concordo sullo stile… cui ho apposta dato il nome ossimòrico di ‘transversal maistream’, però lo stile apre ulteriori discorsi fuori dall’ambito della domanda. Io consiglio Safe Haven a chi ha almeno 16 anni; ah, e bisogna vederci, saper leggere e amare leggere o aver voglia d’innamorarsene: non credo appieno nelle classificazioni di genere o, appunto, stilistiche.

Ci dica qualcosa che avrebbe voluto dire in un’intervista ma che non le hanno mai chiesto prima:

Preferiresti essere invisibile o volare? Volare. Da scelte prese per forza, ho già imparato a essere invisibile.

Sta lavorando a qualche altro progetto?

Ho quattro romanzi completati da rifinire, tre dei quali sempre indipendenti però uniti da vari fili grazie ai quali li ho raccolti in una trilogia: durante essa si può forse comprendere qualcosa sull’Ente; e alla fine, implicitamente, perché non sono autorizzato a rivelare questo o quello. È pronto l’abbozzo della mia autobiografia, sto aspettando che si concludano certe vicende; se mai ci metterò mano, potrò (e dovrò) dire qualcosa in più di me: e anche stavolta sarà solo per amore del testo, contenente molte storie concentriche.

C’è qualche altro genere che le piacerebbe scrivere?

Credo che i generi siano pretesti narrativi. Non posso parlare a nome d’altri, ma per me funziona così. Del resto, sia da lettore che come autore non sono legato a generi; e non mi dispiace. Se Safe Haven è classificato in quanto ‘fantascienza, horror, avventura’, io lo vedo una ‘satira apocalittica’ e tengo unicamente l’avventura. I miei zombi non sono morti viventi bensì vivi morenti. Veri, quindi, e non un’esclusiva del pianeta Ton-Do. Lì subiscono questa mutazione mentale regressiva in un ambito estremo di decadenti umanità in picchiata; non succede solo laggiù. Non contesto che sulla Terra si ritengano inconcepibili altri mondi abitati da civiltà più o meno evolute: tuttavia per me saperne e fantasticarci non è science-fiction bensì una condizione abituale sin da piccolo; il muovermici attraverso l’ho sviluppato quasi casualmente in età adulta… per necessità, poi sviluppate nel lavoro attuale di ricomporre vicende cosmiche. Scrivo ciò che trovo nei miei universi paralleli; il quarto inedito sulla Terra non ha nulla di paranormale, presente invece nella trilogia: ma il fatto stesso d’esser ambientato in un altro mondo ancora, quaggiù basta a renderlo ugualmente un romanzo di fantascienza.

Che cosa sta leggendo in questo momento?

Leggo sempre tanto, da quando alfabetizzato: fumetti, inchieste, narrativa, saggistica – scientifica e non; più che scrittore, mi ritengo un avido e appassionato lettore – tutt’al più un autore che con la propria immaginazione ricama vicende storiche universali. Di terrestre, sto leggendo ‘Norwegian Wood – Tokyo blues’ di Murakami Haruki.

Quali autori hanno influenzato il suo modo di scrivere?

Dei terrestri: Scarlett Thomas, Charles Dickens, Jonathan Coe, Arthur Conan Doyle, Giuseppe Berto, Stephen King, Peter Straub, Alexandre Dumas (padre), Gabriel Garcia Marquez, Noah Gordon, Morris West, Erich Fromm, Alessandro Manzoni, Ken Follett, Ferenc Molnar, Robert McLiam Wilson, Jules Verne, Dean R Koontz, Boris Pasternak, Hubert Corbin, Thomas Pynchon, Emilio Salgari, Mary Higgins Clark, Riccardo Bacchelli, Mordecai Richler, Rudyard Kipling, Carol O’Connell, Michel Hollebeq, Robert Louis Stevenson, Ron McLarty, Jack London, James Ellroy, Mark Twain, Frank McCourt, John Grisham, Herman Melville, Dan Brown, Ludovico Ariosto, Daisaku Ikeda, James Herriot, Fruttero & Lucentini, Joseph Conrad, Scott Turow, Edgar Allan Poe, Marco Buticchi, Roy Lewis, Richard Bach, Emmanuel Carrère, Eduard Limonov, Tim Griggs, William Golding, Irvine Welsh, Chuck Palahniuk…

Tra tutti i libri pubblicati, quale avrebbe voluto scrivere lei?

Anche nei peggiori periodi d’insicurezza a tutto tondo, non ho mai desiderato essere qualcun altro (extraterrestre o non) nemmeno scrivendo. Degli autori terrestri citati in quest’intervista e di tanti altri pure extraterrestri ho amato molti loro lavori e spesso per motivi diversi, anche quando ostici, sgradevoli o poco condivisibili: dire però che avrei voluto scriverli io, non mi viene.

Il libro:

Safe Haven – Frank T. Alien

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Affaristi e lacchè non hanno più badato a sbriciolare avanzi per tener vivi consumatori.
Né regimi che fingessero d’ascoltar istanze su… egualitarismo?
Loro il copyright dell’apocalisse.
Mia ruba per finanziare la rivoluzione e il quartiere, regolato come due terzi planetari dalla mietitrice miseria.
Offertasi all’oligarca re per rapinarlo, nel misfatto post-coitale è stata beccata e condannata a un ergastolo breve.
Vi trova Molly, sbirra cozzata nello stesso muro.
È amore.
Giunge un terzo galeotto, il misterioso Ion.
Quando Molly lo salva, svela chi è.
E altro.
Incluso l’essersi pur egli inimicato lo zar d’un mondo morente.
Manco gli molla la stretta al collo, quest’untore d’un morbo mentale scatenante fame in gente desueta a patire stenti bensì disturbi alimentari.
Zombi.
Nuovi ricchi disarcionati cavalcando l’edonismo.
Colleghi non ex per l’intellettualizzazione di divenirlo.
Silente ma radicata, esplode negli ereditieri improduttivi.
Vivi morenti voraci d’ogni merda, specie gli umani facoltosi.
Immuni, i leali.
E i formati in povertà.
Offre Vatuttammé.
Non il solo nesso fra i tre, una revenge impossibile: come scampare all’isola Mèntoh, prim’ancora che lasciarla?
Un segreto di Ion: il Safe Haven.

Siamo arrivati alla fine di questa tappa. Ringrazio ancora Frank T. Alien per averci fatto compagnia. Avete letto Safe Haven? Fatecelo sapere con un commento!

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*eap: editoria a pagamento. [nota di Sara Emme]

 

Pubblicato da Sara Emme

Sono Sara e sono una lettrice compulsiva. Ho vissuto in Cina dal 2009 al 2017. Oltre ai libri, amo i viaggi, la fotografia, i gatti e la buona cucina. Appassionata di Harry Potter e del magico mondo creato dalla Rowling, passo la vita trascinando il mio povero marito (sant'uomo!) per i parchi a tema sparsi per il mondo.

Una risposta a “Safe Haven: Frank T. Alien. L’intervista”

  1. conosco Frank T Alien (fra i migliori amici o, all’occorrenza, peggior nemici) e ho letto Safe Haven. entrambi mooolto particolari. nonché come questo blog, senza peli sulla lingua. Franco Rossi

     

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