narrativa contemporanea
Mondadori
24 settembre 2019
cartaceo, e book
240
Marocco, 1984. Ami ha solo quattordici anni quando s’innamora e decide di scappare di casa con un ragazzo bello e ricco di cui non conosce neppure il nome. Lui ha una macchina elegante, e lei pensa che stiano andando a sposarsi, o su per giù. Che quello sia un viaggio di nozze, o su per giù. Ma è un inganno, e Ami, incinta, si ritrova da sola, persa fra le stradine di Tinghir.
La sua ingenuità ha una forza dirompente. Sa poco della vita ma si fida di quello che succede. E non si accorge di superare difficoltà che abbatterebbero chiunque. Partorisce il figlio Majid sulle montagne dell’Atlante, sotto la tenda di due pastori.
È entraîneuse a Casablanca, contrabbandiera a Melilla, bevitrice e clandestina per le strade polverose del Marocco. Finché non spende tutti i soldi guadagnati per un posto su uno yoct, come lo chiama lei, e avventurosamente raggiunge l’Europa alla ricerca di un futuro migliore per sé e per il piccolo.
Cambierà lingua e abitudini, affronterà nuove e imprevedibili difficoltà. Instancabile come un’eroina settecentesca, di nuovo cadrà, si rialzerà e ricomincerà più forte di prima, conservando la spontaneità, la fiducia negli altri e l’amore per il figlio Majid. Un figlio che la porterà a fare i conti col suo passato. Un ragazzo dal destino molto speciale.
Edoardo Erba, al suo primo romanzo, racconta con originalità e leggerezza una vicenda attualissima, di grande coraggio e umanità, che diverte, avvince, commuove e, spazzando ogni pregiudizio, arriva diretta al cuore.
Famoso come drammaturgo e regista, l’autore si cimenta in un progetto insolito, per lui, un progetto che nasce nel 2015, dopo l’ondata di attentati a matrice islamica che funestano l’Europa.
Sorpreso dal ritrovare in sé stesso sentimenti anti islamici che sa non appartenergli, l’autore fa l’unica cosa sensata che gli venga in mente: un esercizio d’empatia.
Decide di entrare nel cuore di un islamico, ma fatica a trovare la storia giusta, finché non incontra un giovane industriale marocchino e, in prima battuta, decide di raccontarne la biografia.
Realizza però di voler raccontare la storia di una donna, ed ecco che prende forma Ami. Una storia completamente inventata, che prende spunto solo in un dettaglio dalla vita del giovane ispiratore e che, finalmente, consente a Erba di identificarsi totalmente nella protagonista e superare i sentimenti di risentimento che provava nei confronti degli islamici.
Amina è una ragazzina. Praticamente una bambina. Ha 14 anni, vive in un appartamento minuscolo con la sua numerosa famiglia, in Marocco. Non conosce altro, è ingenua e romantica e, quando incontra un ragazzo più grande che le chiede di scappare, non si volta indietro e, nel cuore della notte, esce di casa con non più di quello che indossa.
Non ha nemmeno capito il nome di lui, sa solo che ha 21 anni e che è ricco.
Ha una bella macchina, ci sale quella notte per la prima volta e si lascia tutto alle spalle senza possibilità di ritorno. Amina vorrebbe chiedere al suo “principe” almeno il nome, vorrebbe chiedergli dove andranno, se si sposeranno, ma non è abituata a fare domande, è timida, un pò timorosa, si lascia portare fuori città (non sa bene dove) a casa di un signore compiacente e resta lì, sola, senza fare domande, credendo che un giorno di quelli si sarebbe sposata.
Ma nulla va come lei crede.
Il suo uomo le porta dolci ogni mattina, poi approfitta di lei, se ne va e la lascia sola.
Finché Amina non comincia a intuire di aspettare un bambino. Non è molto pratica di queste cose, ma con le amiche un po’ ne hanno parlato e in effetti non ha torto.
Il responsabile di questa sua situazione la porta via dalla squallida fattoria in cui l’ha relegata fino a quel momento e lei ancora immagina che sia un viaggio di nozze, che si stiano andando a sposare.
Ma lui la abbandona. Sola. Incinta. In una città sconosciuta.
Ami non si lascia prendere dal panico, il proprietario del locale dove è stata abbandonata la porta da sua madre, che la vende a una coppia di pastori come bracciante.
I mesi, in montagna con i pastori, sono duri, ma Ami non si perde d’animo e lavora duramente, impara a badare alle capre e, infine, dà alla luce il suo bambino.
I pastori però sono poveri e la riportano indietro, alla signora che l’ha venduta, che cerca di costringerla a lasciare il bambino in orfanotrofio per poterla mandare a servizio in un’altra famiglia.
Ami scappa, diventa entraîneuse a Casablanca, scappa ancora grazie a un camionista di buon cuore, Hassan, che la porta a Melilla, dove diventa corriere per il contrabbando locale e matura il sogno di andare in Spagna, credendo che lì la vita le sarà più facile.
Anche quello è un sogno che si infrange quando scontra la realtà, fatta di carrette del mare, scafisti senza scrupoli, acqua salata e clandestinità.
Ami affronta difficoltà disumane portando sempre con sé il suo bambino, intraprende un pericoloso viaggio per arrivare illegalmente in Italia, prima a Sanremo, poi a Vigevano.
La provincia italiana le si rivolta contro con ferocia, ma lei ha un istinto di sopravvivenza straordinario che le permette di crescere suo figlio, di stringere amicizie, di non perdere sé stessa.
La parentesi italiana è quella più dura da digerire, perché il lettore vede riflesse le storture e la crudeltà di persone che potrebbero essere (e sono) i propri vicini, l’inumanità che sgorga dai pori della normalità, il razzismo subdolo di chi “non è razzista ma…”, la durezza che isola, che fa covare la rabbia sotto la cenere, che porta all’estremizzarsi delle situazioni.
Tutto il libro è un fortissimo pugno nello stomaco, raccontato con leggerezza disarmante.
L’esercizio di empatia di cui parlavamo all’inizio è perfettamente riuscito: l’umanità e l’ingenuità di Ami conquistano dalle prime pagine, quelle in cui sussurri tra i denti “no no no, non farlo, non farlo”.
Leggere questo romanzo fa sentire incredibilmente impotenti nei confronti delle migliaia di Amina che ogni giorno intraprendono la via del mare, che vengano dal Marocco, dalla Libia o da qualsiasi altro angolo del mondo, per raggiungere un qualsiasi posto che possano chiamare “casa”. Un posto in cui vivere. Semplicemente.
Al di là della sua fede, della sua nazionalità, dei suoi sbagli, è impossibile non immedesimarsi, non pensare “lo avrei fatto anche io”, “Non aveva alternativa”, “Io non sarei stata capace”.
Un libro consigliatissimo, a tutti, soprattutto a chi si è trovato, come l’autore, ad avere paura del terrorismo, del diverso, di qualcosa di sconosciuto.
Vi ho incuriositi almeno un po’? Mi auguro di sì, se avrete voglia di leggere questo romanzo, fateci sapere cosa ne pensate! Lasciateci un commento!
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