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Il punto di vista del turnista – BT Di turno la notte di Natale – Adam Kay

Il punto di vista del turnista è la tappa che ho pensato per aprire il blog tour di Di turno la notte di Natale, un libro di Adam Kay pubblicato da Mondadori nella collana Strade Blu. La mia tappa è una tappa molto particolare. Probabilmente vi annoierà… oppure sarà per voi uno spunto di riflessione per quando vi troverete davanti a del personale ospedaliero. Chissà!
Vi lascio il banner perché le tappe delle altre blogger sono bellissime!

il punto di vista del turnista

In una vita precedente, ho lavorato come infermiera in una Medicina generale. Poi ho cambiato lavoro per tutta una serie di motivi e sono finita a vivere in Cina, ma io inizio come infermiera. E questa è la mia testimonianza su cosa voglia dire fare le notti, lavorare quando tutti gli altri riposano o si divertono o passano del tempo in famiglia perché è festa.

Ho pensato però di coinvolgere quella che è la mia famiglia allargata, ovvero le mie ex colleghe. Sono persone con le quali ho condiviso turni, notti, feste e varie rotture di p… ehm… Avete capito. Quindi direi che vi lascio alle loro parole.

Il punto di vista del turnista: la mia esperienza.

In turno a Natale… quante volte ho detto questa frase nella mia vita? Tante, perché ho sempre preferito lavorare a Natale e lasciare così modo alle mie colleghe con i figli piccoli di stare a casa con i bambini. Avevo poco più di vent’anni e mi interessava di più stare a casa a Capodanno.

In più, all’inizio, quando ho cominciato a lavorare in ospedale, ero arrabbiata con il Natale. Avevamo subito da poco un lutto, il primo grosso lutto della mia vita, e mi pareva una cattiveria che il mondo non si fosse fermato insieme a noi per piangere una vita che non sarebbe più stata la stessa.

A Natale, di solito si è felici. Io non lo ero e quindi mi andava benissimo lavorare a Natale. Quando ho cominciato a lavorare, il turno era il cosiddetto turno in quinta, quindi si faceva pomeriggio e il giorno dopo mattino e notte. Nella stessa giornata. A ripensarci oggi pare follia pura, eppure avevo vent’anni e le forze non mancavano. Dovessi farlo oggi, cadrei svenuta alle 23, con tutta probabilità.

Dopo il primo Natale in turno, a diciassette giorni esatti dal mio primo ingresso in reparto, mi si è aperto un mondo. Dopo aver fatto pace con le assenze e aver instaurato un rapporto di reciproca tolleranza con le festività natalizie (io ti sopporto, ma tu se puoi ignorami), ho iniziato a smettere di concentrarmi su di me e sui miei sentimenti, prestando più attenzione a quelli degli altri in generale.

Il dolore è egoista… Quando soffriamo, pensiamo sempre che ci sia solo il nostro dolore e che quello degli altri sia sempre meno o meno importante. Non è un meccanismo consapevole, ma è così che funziona. Credo sia parte dell’elaborazione del lutto.

Ci sono sempre due modi per fare le cose: per dovere o per piacere. E dopo aver smesso di concentrarmi su me stessa, ho iniziato a fare le cose per piacere e non più solo per dovere.

Immaginate cosa vuol dire essere ricoverati durante le festività? Non stare bene, aver paura, magari provare anche dolore… ed essere non a casa propria, ma lontano dagli affetti, con estranei che ti fanno cose spiacevoli il più delle volte. E allora ho imparato a metterci più amore in ogni gesto, non solo a Natale, ovviamente. Quando hai una routine consolidata, poi, i giorni perdono importanza. Conta solo riuscire a fare bene il lavoro che stai facendo, riuscire a dare un minimo di sollievo alla persona che stai assistendo, magari anche strappare qualche risata (visto che stai più tempo in reparto che a casa tua…), rubando le pecore del presepe o lasciando una lettera di riscatto al posto del Gesù Bambino con la complicità di pazienti autonomi pronti ad assistere alle scene di isteria generale la mattina di Natale a causa della prematura transumanza.

In più sono anche stata fortunatissima perché ho potuto contare su una squadra eccezionale che mi ha supportata (e sopportata) e lavorare era come uscire perché eravamo insieme, eravamo affiatate… e lo siamo ancora oggi, anche se la vita ci ha portate a prendere strade diverse. Le testimonianze che leggerete in questo articolo arrivano dalle mie amiche di sempre, da quelle persone che per me ci sono sempre, con la pioggia o con il sole, che mi hanno raccolta più volte, che hanno asciugato le mie lacrime, che sono state i miei occhi quando non potevo esserci (soprattutto con papà. Non vi ringrazierò mai abbastanza, ragazze), che hanno riso e gioito con me per le cose belle e che mi hanno tenuta per mano quando la strada si è fatta dura. Auguro a tutti voi di avere persone così nella vostra vita. Io non saprei vivere senza.


Il punto di vista del turnista
Il punto di vista del turnista: S.A.

L’infermiere è colui che c’è sempre. C’è di notte quando tutti dormono e c’è durante le feste quando gli altri festeggiano con la propria famiglia. Questo può sembrare lodevole, eroico, ma per certi versi anche triste… La fortuna è che spesso si stringono rapporti di amicizia talvolta profondi con alcune/i colleghe/i e quindi passare il Natale tra lavoro e famiglia è doppiamente piacevole. I turni notturni sono quelli che ricordo maggiormente perché gli episodi più strani ed eclatanti non si sa per quale legge, ma avvengono sempre di notte. Sarebbe bello, doveroso, che ci fosse più riconoscenza sotto tutte le forme.

La vera figata dopo una notte in reparto? Sdraiarsi nel letto al mattino dopo la notte… sembra di sciogliersi tra le braccia di Morfeo!


Il punto di vista del turnista
Il punto di vista del turnista: C.Q.

Non mi è mai pesato più di tanto lavorare durante le festività. Forse di più quando le mie nipoti erano piccole… Quando c’erano ancora tutti in famiglia, effettivamente a volte mi è pesato dover alzarmi per andare al lavoro perché provi sempre un senso di rammarico per cui ti sembra sempre di perderti le cose più importanti della vita. È una sensazione però, che, per quanto mi riguarda, una volta al lavoro sparisce completamente perché poi, quando entri nella normalità dei turni festivi, non ti sembra più così sconvolgente. Certe feste ti toccano più di altre, ad esempio la mattina di Natale, quella è tremenda, la mattina di Capodanno, perché non hai la possibilità di goderti appieno il giorno prima. Come nel caso del Capodanno, appunto, tu magari sei libera la notte dell’ultimo dell’anno ma la mattina dopo ti devi alzare alle 5,30/6 per cui ti senti diversa nel non vivere collettivamente la serenità perché è normale che in quella festa si stia tutti insieme, ci si riunisca e tu o non puoi godertela o te la godi parzialmente, sempre con l’angoscia del “ma io devo andare”. Di contro, ti godi i giorni in cui gli altri lavorano.

Diversa è la questione delle notti. Se penso alle notti quello che mi viene da dire è che io le chiamavo “Il giorno senza fine”. Perché le notti non ti permettono fisicamente, ma soprattutto psicologicamente, di dare uno stop alla giornata. Qualsiasi altra persona che non lavori di notte può aver avuto una giornata bella, una giornata brutta, ma alla fine si può fermare un attimo coi suoi pensieri a metabolizzare ed è la normale routine di un essere umano. Quando tu lavori di notte viene tutto enfatizzato all’ennesima potenza. Non hai la possibilità di fermarti a rielaborare sia le cose belle, ma soprattutto le cose brutte perché se tu durante la giornata hai avuto un problema, una lite, una discussione, non stai bene, … è una giornata che non finisce mai, che si protrae ad oltranza insieme alle preoccupazioni, ai problemi, fino al giorno dopo. In più c’è il carico di malessere fisiologico del non dormire, del saltare il riposo. Ti pesa fisicamente, ti pesa psicologicamente, ti senti incompresa, ti senti non giustamente remunerata per il sacrificio che stai facendo. Sia a livello psicologico, sia a livello fisico è una cosa devastante. Non ti senti capita né ripagata. E a volte è proprio difficile, soprattutto se vicino non hai persone che fanno il tuo stesso lavoro perché non possono capire… Adesso, in questo momento, con il carico del Covid, oltre ai turni festivi c’è anche l’angoscia del contagio, quindi tutto pesa di più.


Il punto di vista del turnista
Il punto di vista del turnista: T.P.

Fare i turni mi è sempre piaciuto. Ho sempre adorato il nostro lavoro proprio per i turni perché mi permettevano di fare più cose quando gli altri lavoravano, quindi con più tranquillità. C’è da dire che quando arrivavano le feste come Natale, Capodanno, o anche le feste meno importanti come San Valentino o Halloween e tu lavori… beh, ti scoccia un po’. Tra i vari turni, a parte quelli tremendi con un sacco di urgenze, c’è una notte in particolare che ricorderò per sempre. Ero quasi alla fine del turno quando mi ha chiamata mio papà dicendomi di mia mamma… onestamente, in quel momento mi sono sentita dilaniata… come può capitare a qualsiasi persona che lavora eh, sei lì con una notizia tremenda che ti piomba addosso e cosa fai? Molli tutto e corri a casa? Però io ero in ospedale, da sola con la collega e con l’oss, in mezzo a persone che avevano bisogno di me e quindi mi sono chiesta: «Mollo tutto e vado da mia mamma oppure continuo perché qui c’è bisogno?» Perché ci sono cinquanta pazienti, le notti sono toste e si è pochissimi per la mole di lavoro che c’è… Io alla fine ho mollato sì, ma molto tardi e rimarrà sempre un mio rimpianto. Però questo non è un lavoro come gli altri. Non è come lavorare in fabbrica dove dici “Ok, mollo e cosa vuoi che succeda? Tre paia di scarpe in meno. Amen”. In ospedale è diverso. Il nostro è un lavoro molto particolare. Non è semplice…

Io ho sempre adorato fare le notti, ma dopo questa il mio pensiero era sempre lì… ho fatto davvero fatica a riprendere la vita di prima. Poi per fortuna ho cambiato genere di attività e ho fatto meno notti, ma fino a quel momento, le notti sono state pesanti, cariche di angoscia.

Questo è il primo ricordo che mi viene in mente quando parliamo di notti e di turni. Poi ce ne sono state tante altre: notti belle, notti brutte, notti particolari, notti con casi difficili o molto interessanti.

Mi ricordo anche la prima notte che ho fatto e la differenza con questa del mio ricordo è enorme perché in quella primissima notte c’era tutto l’entusiasmo del nuovo lavoro.


vp
Il punto di vista del turnista: V.P.

Le ricorrenze in generale per noi non esistono. Siamo divisi, specialmente a Natale, tra il godere di quelle poche ore di festività da dedicare a noi e ai nostri cari e il dovere di dedicare altrettanto tempo, ai nostri assistiti. Eh già, il dovere e anche il piacere di dedicarlo questo tempo a persone che sono sole in un giorno di festa, che si accontentano dell’orario di visita per poter celebrare questa festa nel poco tempo che è dato a loro e ai propri cari.

E allora sai cosa? Visto che le ricorrenze sono giorni “qualunque”, chiedo il libero per il giorno del mio compleanno 😉


vd
Il punto di vista del turnista:V.D.

Lavorare durante le feste… bella domanda. Ho quarant’anni e ho lavorato per oltre quindici anni in terapia intensiva dove non esistevano feste, sabati, domeniche… Non mi è mai molto pesato, mi sono accorta che gli amici e i compagni che ho cercato nella vita provenivano quasi tutti dall’ambiente sanitario perché potevano capire cosa volesse dire essere reperibili o lavorare quando gli altri invece possono stare a casa.

Ammetto che non mi è mai pesato tantissimo perché ho sempre avuto modo di vedere la mia famiglia, e non è la quantità del tempo che si passa insieme o il momento che si passa insieme, ma la qualità che fa la differenza. Nel corso degli anni però la mia situazione è cambiata, ora ho due bambini piccoli e sono separata quindi mi dispiace sempre non trascorrere le feste con i bimbi e le persone che amo.

In questo momento, mentre scrivo queste righe, penso però a quanto mi sento sciocca, perché io ho scelto questo lavoro e di conseguenza di non poter passare tutte le feste con la mia famiglia, mentre i malati si trovano in questa situazione non per loro scelta e soprattutto in questo momento, in cui le visite non sono permesse per l’emergenza Covid, è ancora più difficile per loro restare in ospedale da soli. Se mi rifate la domanda adesso vi rispondo semplicemente che quando sono a casa sono felice perché sto con i miei parenti e i miei cari, mentre quando sono al lavoro sono felice perché cerco di stare vicina e portare un po’ di serenità a chi purtroppo non ha accanto le persone che gli vogliono bene.


BS
Il punto di vista del turnista: B.S.

Lavorare per Natale significa per me portare un sorriso a chi, per la maggior parte del tempo, non ne ha voglia. In ospedale una parola gentile e un sorriso spesso ottengono più risultati di una medicina.


Il punto di vista del turnista
Il punto di vista del turnista: riflessioni finali

Eccoci arrivati alla fine di questa tappa lunghissima alla quale però tengo perché contiene tantissime cose, se sapete leggere tra le righe… Ci sono l’amore e la passione per un lavoro difficile, spesso incompreso, pagato poco (e no, non esiste il “cara grazia che avete un lavoro” perché abbiamo studiato tantissimo per laurearci, per vincere il concorso e ottenere questo lavoro. Che è un lavoro, non una missione, come amate chiamarlo. Non siamo suore, siamo PROFESSIONISTE DELLA SALUTE. Meritiamo considerazione e rispetto. E uno stipendio degno delle responsabilità che abbiamo. Fine del pippone. Pensavate di sfuggirmi?). C’è abnegazione perché si arriva davvero al punto di pensare che un giorno sia uguale all’altro e se non posso festeggiare oggi, beh, vorrà dire che festeggerò domani.

Mi aspetto che arriveranno commenti poco carini stile “Vi siete scelte il lavoro, non lamentatevi”, quindi mi porto avanti e rispondo ora: nessuno qui si sta lamentando. Le ragazze intervistate ancora lavorano in strutture sanitarie e amano quello che fanno. Lavorano ogni giorno con passione, mettendo a disposizione dei pazienti e delle loro famiglie anni di studio, anni di esperienza, capacità relazionali fuori dal comune, empatia e tutto quello che vi viene in mente.

Quindi perché ho messo insieme queste testimonianze? Perché è giusto che si sappia che certe cose pesano, che dall’altra parte ci sono delle persone. Deputate alla cura di altre, ma sempre persone con le loro gioie, con i loro dolori, con i loro problemi. Non troverete mai musi lunghi perché siamo in turno la notte di Natale, anzi! Negli anni che ho trascorso in reparto, abbiamo sempre cercato di portare un po’ di allegria ai nostri pazienti, cercando di farli sentire in una casa lontano da casa. Se leggerete questo libro, fatelo cercando di vedere le cose anche dalla nostra prospettiva. Vi stupirà. E sì, abbiamo un senso dell’umorismo un po’ sui generis… ecco perché tendiamo a fare gruppo tra di noi… siamo animali della stessa specie.

Meraviglie, spero che Il punto di vista del turnista vi sia piaciuto. Intanto io sto leggendo Di turno la notte di Natale, quindi a breve arriverà anche la nostra recensione. Se siete operatori sanitari o se avete avuto esperienza di ricoveri durante le festività, lasciatemi un commento. Altrimenti… Lasciatemi un commento comunque! La vostra opinione conta!

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Pubblicato da Sara Emme

Sono Sara e sono una lettrice compulsiva. Ho vissuto in Cina dal 2009 al 2017. Oltre ai libri, amo i viaggi, la fotografia, i gatti e la buona cucina. Appassionata di Harry Potter e del magico mondo creato dalla Rowling, passo la vita trascinando il mio povero marito (sant'uomo!) per i parchi a tema sparsi per il mondo.

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