Narrativa
La nave di Teseo
2020
Digitale - Cartaceo
388
Oggi partecipiamo al review party di Oltre le scale, un libro di Lorrie Moore pubblicato in Italia da La nave di Teseo. Prima di cominciare, vi lascio il banner dell’evento in modo che possiate recuperare le recensioni delle altre bravissime blogger che vi hanno preso parte e farvi così un’idea più completa del libro.
Tassie frequenta l’università di Troy nel periodo immediatamente successivo all’11 settembre. Per mantenersi mentre studia, cerca lavoro come baby sitter e lo trova, grazie a una famiglia in procinto di adottare una bambina mulatta di due anni, Mary, immediatamente ribattezzata Mary-Emma, Emmie.
Oltre le scale è un romanzo complicato, pieno di tristezza, in cui si parla di perdite, abbandoni, morte. Parla della inconsistenza della realtà, per cui niente è come sembra. Non lo è Sarah, la mamma adottiva di Mary-Emma, non lo è Reynaldo, il ragazzo brasiliano di cui Tassie si innamora. Lei stessa si scopre diversa da quella che credeva dopo una serie di episodi da cui esce inevitabilmente più matura.
Il difficile non era essere se stessi. Era non esserlo.
Il romanzo è comunque scritto con un tono allegro e ironico. È Tassie stessa che racconta la vicenda. In lingua originale, l’autrice fa ricorso a moltissimi doppi sensi, quasi in ogni frase o contesto, che purtroppo vengono persi nella traduzione in italiano perché si basano su termini inglesi quasi identici come grafia, ma completamente diversi come significato. Data l’impossibilità a trasporli in italiano, il romanzo è pieno di note esplicative, ma ciò rallenta la lettura è non rende pienamente il sottile umorismo.
La lettura di questo romanzo, all’inizio, non mi ha entusiasmata, ho fatto fatica a interpretare la vicenda anche perché procede molto lentamente, finché finalmente ho imbroccato la chiave di lettura giusta e ho iniziato a farmi coinvolgere e apprezzare le situazioni descritte. Alcune di queste situazioni sono molto delicate e simpatiche, altre mi hanno indotto a profonde riflessioni.
Il rapporto di affetto che lega Mary-Emma e Tassie mi ha strappato più di una volta un sorriso di tenerezza.
Sarebbe cresciuta con la certezza di essere amata, ma senza la sicurezza che le persone che la amavano sapessero cosa stavano facendo – il contrario della mia infanzia – e così avrebbe cominciato a dubitare delle persone, a dubitare dell’amore e della sua utilità. È in fondo questo, be’, significava essere proprio come me. Forse, allora, non importava come fosse la tua infanzia: alla fine si diventava tutte uguali.
Tassie, inoltre, ha un’ammirazione sconfinata per Sarah che quasi desidererebbe come madre, confrontandola con la propria, fredda e distante.
L’attitudine di mia madre alla felicità era piccolo osso con cui insaporire un’abbondante minestra.
Sarah è un personaggio ambiguo, pieno di contraddizioni, che noi però conosciamo solo attraverso gli occhi di Tassie, che la descrive come persona realizzata professionalmente ma assolutamente bisognosa d’affetto.
Le donne si rovinano la vita tentando di rimediare al fatto di aver scelto l’uomo sbagliato. E questi tentativi non hanno niente di bello: sono noiosi.
Spregevole, invece, è il marito di Sarah, descritto da Sarah stessa come un don Giovanni, privo di sentimenti.
I temi affrontati dall’attrice sono molteplici. Oltre all’adozione (interrazziale, Sarah ci tiene tanto a precisare che non è importante che la sua bambina sia mulatta), si pone in risalto il grave problema del razzismo sia nei confronti della popolazione afro-americana sia nei confronti delle popolazioni mediorientali. Non dimentichiamo che il romanzo è ambientato nel periodo immediatamente successivo al 11 settembre 2001, durante cui i sentimenti di paura e diffidenza nei confronti dei non statunitensi si inasprì.
Viene anche messo in evidenza il conflitto in Afganistan, dove viene mandato in missione il fratello di Tassie, Robert, un ragazzino di soli 18 anni appena arruolatosi, e, come lui, migliaia di altri ragazzini.
Anche quella di Robert era la faccia di un bambino con un cappello schiaffato in testa. Il cappello era incongruo, come una decorazione scura aggiunta solo per stabilizzare la composizione della foto.
Si capisce, dunque, che Oltre le scale è un romanzo intenso, pieno di spunti di riflessione non di facile lettura ma per cui è necessaria una grande concentrazione. Non è quindi da leggere “sotto l’ombrellone” ma durante un momento in cui ci si sente pronti ad affrontare tematiche dure e difficili da digerire.
Si parla sempre della tragedia di non ricordare. Ma ricordare ha i suoi limiti. Credimi, dimenticare fa bene.
Avete letto Oltre le scale? Vi aspetto per commentarlo insieme!
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