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Un aiuto a chi non ha voce – Blog tour Ti cercherò ovunque tu sia – R.H. Balson

Un aiuto a chi non ha voce è la tappa che ho scelto per partecipare al blog tour di Ti cercherò ovunque tu sia, un libro di Ronald H. Balson pubblicato in Italia da Garzanti. Prima di cominciare, vi lascio il banner dell’evento in modo che possiate recuperare le tappe delle altre bravissime blogger che vi hanno preso parte e farvi così un’idea più completa del libro.

un aiuto a chi non ha voce

Il libro:

Ti cercherò ovunque tu sia – Ronald H. Balson

un aiuto a chi non ha voce

Polonia, 1939. Da quando a Lublino sono attraccate le navi con la svastica, nulla è più come prima. Lo sa bene Eli che, insieme alla moglie Esther e al figlio, è stato costretto ad abbandonare la sua casa e a cucire sul cappotto la stella di David. Portare quel simbolo sul petto è una condanna, ma Eli è determinato a fare di tutto per proteggere la sua famiglia. Persino a collaborare con Max, un imprenditore nazista che gli promette la salvezza in cambio del suo lavoro. Ormai sono passati molti anni dalla guerra. Eli e suo figlio sono sfuggiti alla morte scappando negli Stati Uniti, ma non hanno dimenticato il sorriso di Esther, portata via per sempre proprio dall’uomo che aveva giurato di tenerli al sicuro. Eli non può e non vuole dimenticare quel sorriso. È la ragione che gli permette di lottare ogni giorno. Perché tutto l’orrore che ha vissuto non è riuscito a intaccare il suo senso di giustizia, e ora è arrivato il momento di dare la caccia a Max. Sa che non sarà semplice dimostrare i crimini e le bugie con cui ha ingannato non solo lui, ma anche migliaia di altri ebrei. Eppure, giorno dopo giorno, grazie alle testimonianze di altri sopravvissuti, Eli mette insieme tutto ciò che serve per istruire un processo. Ora deve solo trovare il colpevole. A qualsiasi costo.

Mai come nel periodo dell’Olocausto c’è stato bisogno di dar “Un aiuto a chi non ha voce”, di trovare persone che non negassero ciò che stava succedendo e che non si piegassero conformandosi alla massa, andando contro corrente e trovando il coraggio di ribellarsi all’orrore delle deportazioni naziste.

Sono numerose le persone che, attraverso piccoli o grandi gesti, hanno dato il loro contributo nel nascondere, salvare o supportare le famiglie ebree ricercate e perseguitate durante gli anni di supremazia hilteriana, quando essere “diverso” non ti dava scampo… Che poi “diverso” da chi? “Diverso” da cosa?

Prendiamo ad esempio i bambini, come possono essere definiti diversi?

I bambini sono delle tele pure, nascono innocenti e guardano il mondo con occhi curiosi di chi vuole scoprire tutto, perché il mondo è un mistero e una novità che affascina. È proprio per loro che, dando un aiuto a chi non ha voce, l’infermiera polacca Irena Sendler (nata Krzyżanowska), conosciuta nella Resistenza con il nome “Jolanta”, riuscì a procurare circa 3000 passaporti falsi per le famiglie ebraiche e salvò circa 2500 bambini introducendosi nel ghetto di Varsavia in qualità di infermiera addetta alla prevenzione delle epidemie o sotto coperture varie, dall’elettricista all’idraulico.

La Sendler, Vigilia di Natale 1944, in uniforme da infermiera. ©Wikipedia

Gli stratagemmi che la donna si è inventata e ha attuato per trarre in salvo i bambini del ghetto sono i più fantasiosi, dal trasportarli in ambulanza nascosti tra gli stracci sporchi al sedarli per farli sembrare morti di tifo o al nascondere i neonati nel retro di furgoni delle manutenzioni con tanto di guardia del corpo, un cane che avevano addestrato ad abbaiare quando i soldati nazisti si avvicinavano al mezzo così da coprire i lamenti dei piccoli.

Una volta fuori dal ghetto entravano in scena i documenti falsi, per poter affidare i piccoli a famiglie cristiane delle campagne limitrofe o ai conventi della città attigue.

Ho mandato la maggior parte dei bambini in strutture religiose. Sapevo di poter contare sulle religiose.
[©Zenit]

Irena è stata una donna straordinaria, che non ha solo dato un aiuto a chi non ha voce ma ha voluto preservarne la memoria, annotando i veri nomi dei bambini salvati accanto a quelli forniti come copertura e seppellendo i vari elenchi dentro vasetti di marmellata sotto un albero nel giardino di casa di un contatto della donna. La vera speranza, per la donna e per le famiglie, era poter disseppellire questo tesoro e poter ricongiungere i famigliari.

«Dopo la fine del conflitto – scrive Irena -, ho affidato gli elenchi a Adolf Berman, tesoriere di Zhegota che a guerra conclusa divenne presidente del Comitato ebraico di aiuto sociale.
Egli, con l’aiuto degli attivisti a lui subordinati, prelevò i bambini dagli istituti polacchi gestiti da ordini cattolici o dalle famiglie private che li nascondevano. Il mio ruolo si esaurì sostanzialmente qui; non ricordo i loro nomi e loro non seppero mai il mio, dopo tutto, ciò fu indispensabile per la sicurezza di tutti. Per loro io ero solo “Auntic Jolanta”»
[Tratto da L’enciclopedia delle donne]

La vita avventurosa di Irena, come di molte altre figure che hanno attivamente partecipato alla resistenza attiva negli anni della Seconda Guerra Mondiale, ha subito una brusca frenata nell’ottobre 1943 quando è stata catturata, torturata e condannata a morte dalla Gestapo riuscendo a scampare questo destino solo grazie all’intervento della rete di resistenza di cui faceva parte, segnalando il nome della donna come già messa a morte.

Anche dopo la fine del conflitto, purtroppo, è stata tacciata come sovversiva e, nonostante la candidatura a premio Nobel per la pace nel 2007, non ha vinto (le hanno preferito Al Gore). Si è spenta circa un anno dopo a Varsavia, il 12 maggio 2008.

Se Irena è stata un esempio per altre donne della sua epoca non è dato saperlo, non credo che fosse così semplice conoscersi e poter collaborare apertamente, quel che è certo è che non è stata l’unica a prendersi la briga di dare Un aiuto a chi non ha voce.

Anche la sua omonima, Irena Adamowicz, si è unita alla Resistenza e, con il titolo di ispettrice per conto degli orfanotrofi di Varsavia ha potuto muoversi liberamente nel Ghetto, travestendosi da suora tedesca, fungendo da corriere per armi e mezzi atti alla resistenza attiva degli ebrei segregati. Ha rischiato la vita anche decidendo di nascondere a casa sua alcuni ebrei fuggiti da Ghetto, nonché organizzando numerosi gruppi di fuggiaschi alla volta della Palestina.

un aiuto a chi non ha voce
Irena Adamovicz ©gariwo.net

Se le due Irena hanno spiccato come attiviste polacche, un’altra donna di immenso valore ha fatto sentire la sua voce a Bruxelles. È l’insegnante Andrée Geulen, che per rendere i suoi alunni uniti e uguali, chiese loro di indossare in grembiule affinché non fosse in vista la stessa gialla imposta sugli abiti degli ebrei.

Quando, suo malgrado, la stessa si rivelò solo la punta dell’iceberg e iniziarono le deportazioni, la professoressa decise di agire entrando a far parte del Comitato di difesa degli ebrei, per poter nascondere e salvare i bambini ebrei dall’orrore dei campi di sterminio.

un aiuto a chi non ha voce
Andrée Geulen ©gariwo.net

Alcuni ragazzi venivano nascosti a scuola, altri trasferiti in luoghi sicuri almeno finché la Geulen non è stata costretta, a seguito della denuncia di alcuni delatori, alla fuga assumendo l’identità di Claude Fournier. Sotto mentite spoglie ha continuato per altri due anni a nascondere bambini e ragazzi presso istituti cristiani o famiglie fidate, annotando i loro veri nomi proprio come Irena.

Salvò 300 bambini e, dopo la guerra, il suo impegno ha ripercorso i passi inversi per poter riunire le famiglie, con la ferma convinzione che “disobbedire alle leggi di allora era la sola cosa normale da fare”.

Ci vorrebbero pagine e pagine da dedicare a questi angeli che, rischiando la vita ogni giorno, hanno deciso di dover dare un aiuto a chi non ha voce in quegli anni bui e pieni di sospetto. Non potrei, neanche volendo, citare tutte le donne di cui ho letto e sicuramente ne dimenticherei tante di cui nessuno ha potuto scrivere le gesta.

Vorrei consigliarvi, se anche voi come Andrée pensate che sia giusto disobbedire a quelle leggi ingiuste e mostruose, di andare a scoprire altri nomi (non solo di donne) di eroi ed eroine “del nostro tempo” e dare volti ai bambini, salvati e non, di cui qualcuno ha fortunatamente conservato un ricordo.

Ne citerò uno solo, perché sbirciando le foto le sue guanciotte mi hanno ricordato quelle del mio bimbo (3 anni, come il piccolo di cui vi parlerò a breve).

©Enciclopedia dell’olocausto

Vi presento Henoch Kornfeld, nato in Polonia nel 1938, viveva a Kolbuszowa con i genitori ed è da questa piccola cittadina che è stato deportato assieme a loro, il 25 giugno 1942, prima in un ghetto e poi al campo di sterminio di Belzec. È qui che la voce di Henoch, di soli tre anni e mezzo, si è spenta il 7 luglio 1942.

È lì che un bambino, un uomo, una donna, un essere umano non avrebbe mai dovuto trovarsi per nessun motivo nella vita.

È così che cresce esponenzialmente l’importanza delle gesta di chi ha dato voce a chi la stava pian piano perdendo per l’indifferenza e la malignità del nazismo, per la pazzia di un uomo che ha saputo convincerne altre migliaia a seguirlo e a combattere l’idea di un diverso che, di diverso, non aveva nulla.

La guerra è stata e sempre sarà combattere il proprio simile, il proprio vicino di casa, il bambino che ancora non sa parlare e che guarda il mondo incuriosito, senza poter minimamente sapere quanto odio lo circondi e senza capirne il perché, ammesso che un perché esista.

Le donne a cui ho dato spazio sono esempi di chi ha voluto dare un aiuto a chi non ha voce, di chi ha voluto combattere dalla parte di chi non poteva farlo, di chi ha sacrificato parte della propria esistenza sicura in nome dell’uguaglianza, della giustizia e della fede, in un futuro migliore.

Speriamo che questo non si debba ripetere, perché non so se attualmente troveremmo tante persone di buon cuore, in una società sull’orlo di una crisi di nervi ormai perenne.

Bibliografia:

 

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