Il club delle lettrici compulsive

La ragazza che scriveva romanzi d’amore ad Auschwitz – Siobhan Curham

La ragazza che scriveva romanzi d'amore ad Auschwitz Book Cover La ragazza che scriveva romanzi d'amore ad Auschwitz
Siobhan Curham
Narrativa - Romanzo storico
Newton Compton
2023
Digitale - Cartaceo
352
Fornito dalla casa editrice
Carlotta Mele

Anche nel momento più buio, le parole possono tener viva la speranza. Ma qui anche la speranza può essere pericolosa.
Mentre oltrepassa i terrificanti cancelli di ferro di Auschwitz, la scrittrice ebrea Claudette “Etty” Weil pensa alla sua vita prima di quella guerra insensata: l’appartamento affacciato sulla Senna, le risate degli amici, gli scaffali pieni di dischi e, soprattutto, la sua amata macchina da scrivere accanto alla finestra. Viene bruscamente riportata alla realtà dalle urla di una ragazzina, Danielle, strappata via dalle braccia della madre. Di fronte a quella scena straziante, Etty prende una decisione: si occuperà di Danielle e, per quanto possibile, la proteggerà come una sorella.
Così, ogni sera, alla fine di una lunga e difficile giornata nel campo, Etty racconta a Danielle delle storie, costruendo per lei un bellissimo mondo di immaginazione e speranza in cui rifugiarsi. Ben presto anche altre donne si avvicinano per ascoltare, ed Etty le incoraggia a condividere le loro vite, i loro ricordi, i loro amori. Se riuscirà a sopravvivere, promette, quelle storie non saranno dimenticate.
Notte dopo notte, racconto dopo racconto, Etty e le altre riescono a tener viva la speranza. In un luogo come Auschwitz, però, anche la speranza può essere pericolosa...
Nessuno muore davvero se la sua storia continua a vivere...
Un romanzo indimenticabile
Uno dei migliori che leggerete quest’anno

«Una storia emozionante che lascia il segno.»
«Un libro assolutamente eccezionale, ti cattura dalla prima pagina e non ti lascia più andare.»
«Questo libro è un vero trionfo di emozioni.»

Bentrovatə compulsivə! Oggi parliamo di La ragazza che scriveva romanzi d’amore ad Auschwitz , di Siobhan Curham, pubblicato in Italia da Newton Compton Editori.

Siamo letteralmente sommersi di orribili notizie di guerra da numerosi fronti, le immagini che ci arrivano dal web, dai telegiornali (qualcuno ha ancora il coraggio di guardarli?), da qualsiasi fonte di informazione, sono strazianti e mettono a dura prova la nostra capacità di giudizio.

Personalmente, trovo che non sia il momento del tifo da stadio, dei parteggiamenti per l’una o l’altra fazione, quello che mi fa sanguinare il cuore è il pensiero delle persone che queste guerre non le hanno scelte, non le hanno volute e che ne pagano le conseguenze nei peggiori modi immaginabili. Se devo scegliere una fazione, io scelgo l’umanità.

Le potenze mondiali non hanno mai imparato niente dalla storia, non si curano di chi vuole solo vivere una vita normale, hanno a cuore i loro interessi e se qualcuno muore, pazienza. Non sono persone, sono numeri.

Non vi ricorda niente?

C’è stato un tempo, un tempo non troppo lontano, un tempo di cui alcune persone ancora viventi portano il ricordo, le cicatrici, un tempo di cui abbiamo sentito parlare per esperienza diretta dai sopravvissuti, fossero nonni o testimoni che si sono sforzati di non dimenticare.

Negli anni ’40 del secolo scorso, per tutte le persone che vivevano in Europa, il pericolo è nato dall’odio in un giorno come tanti, un giorno in cui qualcuno si è svegliato per andare a lavorare, in cui qualcuno stava sospirando un amore non corrisposto, in cui qualcuno stava leggendo un libro o ascoltando della musica, in cui qualcuno stava svegliando i propri figli per mandarli a scuola o stava pensando “Uffa, devo fare il bucato”.

Di colpo, quelle persone, tutte le persone, sono state in pericolo.

Sappiamo tutti, o per lo meno tutti dovremmo sapere, cos’è successo in quegli anni terribili, gli anni della guerra, del fascismo, prima, e dell’invasione poi, lo sappiamo.

Lo abbiamo studiato a scuola, spesso senza capire l’accanimento che sembravano provare gli insegnanti nell’insistere sugli aspetti più sconvolgenti della vicenda (ed erano così tanti), lo abbiamo visto nei film, nei fumetti, nei libri, negli occhi dei partigiani che venivano a raccontarci la resistenza, negli occhi dei nonni che quell’orrore lo hanno vissuto sulla propria pelle.

Quindi vi chiederete: ha senso continuare a scrivere e a leggere della guerra? Come vedete, a quanto pare, sì.

Ho letto La ragazza che scriveva romanzi d’amore ad Auschwitz. 

L’ho letto perché non voglio permettere a me stessa di offuscare la memoria di quello che è stato, mai, ma soprattutto non adesso, che la guerra è vicina, concreta, scatenata in tutta la sua disgustosa violenza a pochi passi da noi.

La ragazza che scriveva romanzi d’amore ad Auschwitz parla di una ragazza francese, Claudette Weil, che ha fatto la propria fortuna scrivendo romanzi d’amore. Ha una bella casa che affaccia sulla Senna, una radio in ogni stanza per poter ballare dove vuole, una vita felice, che si è guadagnata con le unghie e con i denti dopo essere scappata da Marsiglia e da un padre alcolizzato e violento.

Claudette, Etty, per gli amici, è ebrea.

Non che ci pensi mai sul serio, ha abbandonato i rituali della sua religione insieme alla vecchia vita, ma a quanto pare, dopo l’invasione nazista, è un particolare rilevante.

I manifesti sui muri la fanno rabbrividire, la svastica che troneggia sulla tour Eiffel la tiene costantemente in allerta ma, finché può continuare a scrivere i suoi romanzi, tutto sembra sotto controllo. Solo che, a un certo punto, lei i suoi romanzi non li può più pubblicare.

Perché agli ebrei non è permesso.

Ma poi che vuol dire, era suo padre che era religioso, non lei, lei con queste cose non ha a che fare da anni.

Non importa.

La disperazione del vedersi portare via il suo lavoro, il suo sogno, la gettano per un attimo in preda al panico, ma, dopo l’incontro fortuito con un pugile ebreo, trova la forza per reagire e comincia a scrivere per un giornale clandestino, denunciando la condizione delle persone come lei.

Non è semplice, la paura è una compagna costante, ma riesce a tenerla a bada nella libreria, ormai chiusa, di un anziano signore che le racconta le storie della torah, che la aiuta a riscoprire le sue radici e le dà un motivo per sperare e per continuare a combattere.

Sarà una farfalla, a farla arrestare.

Per Etty, senza alcun motivo se non quello di esistere, si aprono i cancelli di Auschwitz.

Da questo punto in poi, è solo dolore.

Etty, non è una che si dà per vinta e, per resistere, si fa carico di prendersi cura di Danielle, che è solo una ragazzina, ma che sopravvive alla selezione mentendo sull’età.

Ogni sera, prima di crollare esausta sulla branda, Etty inventa storie, racconta mondi, infonde speranza a Danielle e alle donne che occupano la stessa baracca, cercando il modo per sopportare, per sopravvivere, per poter poi raccontare al resto del mondo l’abominio perpetrato sulla loro pelle.

Se state cercando una lettura d’evasione, La ragazza che scriveva romanzi d’amore ad Auschwitz non fa per voi.

Per me è stato straziante arrivare alla fine del libro, consapevole che non era fiction, che, anche se non si tratta di una storia vera, si tratta di un insieme di storie vere di persone normali, persone come me.

Come te.

Nei campi di lavoro si finiva per un milione di motivi, per la religione, sì, ma anche per l’amore, per la compassione, per l’etnia, per sfortuna, perché sì.

Non c’è mai stata una logica e ancora oggi non c’è. E i campi ci sono ancora.

Ho pianto molte volte sulle pagine di La ragazza che scriveva romanzi d’amore ad Auschwitz. Me l’aspettavo? Forse un po’.

Non mi aspettavo che fosse davvero così crudo, così doloroso, e forse non me lo aspettavo perché, anche questa volta, avevo permesso a me stessa di offuscare la memoria.

E voi? Avete letto La ragazza che scriveva romanzi d’amore ad Auschwitz? Fatecelo sapere nei commenti!

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NdA: il libro mi è stato fornito perché potessi recensirlo. Questo non ha influito sulla mia opinione finale.
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