Il club delle lettrici compulsive

Lezioni di chimica – Bonnie Garmus

Lezioni di chimica Book Cover Lezioni di chimica
Bonnie Garmus
Narrativa umoristica
Rizzoli
2022
Digitale - Cartaceo
464
Anna Rusconi

La cucina è chimica e la chimica è vita. La capacità di cambiare tutto, compresi se stessi, comincia da qui. Elizabeth Zott è magnetica. Se entra in una stanza, state certi che non le staccherete gli occhi di dosso: perché è bella, e perché ha quel modo schietto di esprimere il proprio pensiero, che scende come una lama sulla superficie molle della morale comune. Siamo nel 1952, ed Elizabeth è una giovane chimica che lavora all’Hastings Research Institute in California, un ambiente ferocemente maschilista dove il suo innegabile talento viene per lo più messo a tacere, sabotato, o usato per il prestigio altrui. Malgrado le difficoltà, il coraggio di rivendicare diritti e successi non viene scalfito e spinge Elizabeth a perseverare. C’è solo un uomo che ammira la sua determinazione: è Calvin Evans, genio della chimica in odore di Nobel, con il quale nasce un sentimento puro in cui condivisione delle formule e attrazione fisica vanno di pari passo. Ma la vita, come la scienza, è soggetta a trasformazioni, e qualche anno dopo la tempra di Elizabeth, ora madre single, folgora un produttore televisivo che le affida la conduzione di Cena alle sei, un programma di cucina che nelle sue mani diventa un appuntamento quotidiano immancabile per il grande pubblico. Il suo approccio rivoluzionario ai fornelli, infarcito di digressioni scientifiche, non mira solo alla preparazione di stufati, ma anche ad aprire gli occhi all’universo femminile. "Lezioni di chimica" è la storia di una donna irresistibile, che cade e si rialza più volte; è l’avventura di un’esistenza che ribalta gli schemi e costruisce un nuovo percorso, nonostante tutto. Con Elizabeth Zott si ride e si piange. È lei a dettare il ritmo, a indicarci quando andare a testa alta e quando invece è impossibile. Quello che sembra dirci, alla fine di tutto, è di non fermarci mai.

Oggi parliamo di Lezioni di chimica, scritto da  Bonnie Garmus e pubblicato da Rizzoli

Avevo in mente di leggere Lezioni di Chimica già da un po’. Mi ispirava davvero tanto, sia per la copertina sia per il titolo. E anche la trama mi aveva intrigato parecchio. Ne avevo sentito parlare moltissimo sui social, e prometteva di essere un gran bel libro. Sapete che adoro i gruppi di lettura e proprio in uno di questi è stato proposto di leggere questo romanzo e quindi ho aderito all’istante e mi sono buttata a capofitto nella lettura.

La trama, super intrigante, è presto detta. Elizabeth Zott è una giovane chimica che lavora come tale presso il prestigioso Hastings Research Institute in California. 

Qui conosce Calvin Evans, altro super genio della chimica in odore di Nobel. I due si innamorano, ma la vita, si sa, ci mette lo zampino. Qualche anno dopo, Elizabeth, madre single, viene scritturata per un programma di cucina. La ragazza non si abbassa alle pretese del produttore di andare in video truccatissima, bellissima, sorridentissima, a creare ricette per casalinghe disperate ma, contrariamente alla moda dell’epoca, indossa dei pantaloni, non si trucca, non sorride e cucina come se stesse allestendo un esperimento di Chimica anziché un piatto succulento.

Phil Lebensmal vuole che mi comporti come se avessi davanti un pubblico di deficienti, ma io non ci sto, Harriet, io non perpetuerò il mito che le donne sono delle incompetenti.

Nonostante ciò, le casalinghe disperate la seguono e all’improvviso tutte sognano di fare qualcos’altro nella vita, persino il cardiochirurgo (non è strano, eh, ci sta che una donna voglia diventare cardiochirurgo, non sto assolutamente criticando questo sogno). Insomma, con il suo programma Elizabeth scuote le coscienze addormentate delle donne, che improvvisamente capiscono e si rendono conto che la loro vita è piatta e misera, alla mercé di uomini brutti e cattivi.

Dimenticavo di dirvi che il romanzo è ambientato negli anni ’50/60 e, se da un lato è vero che all’epoca la società era soprattutto patriarcale, è vero anche in quegli anni si fa sentire il cosiddetto femminismo radicale, che identificava nell’uomo la causa di tutti i mali. Quello che mi ha un po’ disturbato di questo romanzo è che tutto è rappresentato in maniera troppo esasperata. Gli uomini con cui ha a che fare Elizabeth, a parte Calvin che è un genio quindi superpartes (ma non dimentichiamo che Calvin la scambia per una segretaria al loro primo incontro, perché per la mentalità dell’epoca non era possibile per una donna far parte di un team di ricerca) e a parte Walter, inetto e timido, sono tutti approfittatori, subdoli, smargiassi, le rubano anni di studi e dati per pubblicare articoli scientifici al posto suo e soprattutto sono tutti degli stupratori.

Dagli uomini le era sembrato di tirare fuori sempre e solo il peggio: non volevano altro che controllarla, palparla, dominarla, ridurla al silenzio, correggerla e dirle quello che doveva fare. Non capiva per quale motivo non potessero semplicemente trattarla come un essere umano, una collega, un’amica, una loro pari, o anche soltanto come un’estranea per strada, una persona verso cui ci si dimostra automaticamente rispettosi fino al giorno in cui non salta fuori che ha una montagna di cadaveri sepolti in giardino.

Ammettiamo pure che negli anni ’50 e ’60 le donne avessero un ruolo marginale nella società, e che gli uomini detenessero i posti di potere (ma non succede lo stesso anche ora, nonostante le “quote rosa”?) ma non posso credere che fossero tutti dei violentatori seriali. Inoltre, mi sembra che l’autrice abbia un po’ calcato la mano sul femminismo, esasperando all’estremo. Sono d’accordo che le donne all’epoca (ma anche ora) dovessero faticare molto di più degli uomini per essere indipendenti e per poter fare un lavoro che non fosse essere al servizio di un uomo e per arrivare a posizioni di leader e sono anche d’accordo che negli anni ’50/60 le donne fossero per lo più casalinghe, ma qui è davvero tutto troppo portato all’eccesso.

Pare quasi una caricatura, e questo estremismo fa quasi pensare che in realtà sia una critica al femminismo e non un romanzo dalla parte delle donne, che cerca di evidenziare il loro ruolo nella società. Il fatto di averlo ambientato negli anni ’50/60 è stato, secondo me, un escamotage dell’autrice per andare a esasperare ancora di più un’idea. Ambientare il romanzo ai nostri giorni probabilmente non avrebbe dato modo all’autrice di calcare la mano come in realtà ha fatto.

La riduzione delle donne a qualcosa di inferiore agli uomini e l’elevazione degli uomini a qualcosa di superiore alle donne non è biologica, ma culturale. E che comincia con due parole: rosa e azzurro. Da lì in poi, è già tutto fuori controllo.

Io sono fondamentalmente d’accordo con quest’affermazione, ma quello che critico è voler per forza mettere tutto su un piano di bianchi e neri, senza gradazioni di colore che invece bisogna considerare.

In realtà, io sono nata nel 1969 e i miei genitori hanno vissuto in pieno gli anni ’50/60, anni che hanno visto la loro formazione scolastica e universitaria (mia madre è laureata e mio padre no, per dire), così come quella di molti loro coetanei e, da quanto ho potuto capire, quest’atmosfera così misogina in realtà non si percepiva. Con questo non voglio dire che non sia vero, che fosse tutto rose e fiori, ma voglio semplicemente ribadire che il romanzo mi è sembrato travalicare davvero un po’ troppo problematiche esistenti e con cui facciamo ancora (purtroppo) i conti.

Dal canto suo, il romanzo è veloce e simpatico, l’autrice sa come incantare i lettori e come catturare la loro attenzione. I personaggi sono davvero ben caratterizzati a cominciare da Elizabeth che, nonostante la sua gigantesca intelligenza, si dimostra davvero ottusa quando si tratta di confrontarsi con la realtà pratica; Calvin è il tipico genialoide che viene apprezzato solo da chi, come lui, è dedito solo allo studio e alla Chimica; Madeleine, la figlia di Elizabeth, è dolcissima, anche se molto precoce e molto intelligente (ma guarda un po’ vista la madre), ma purtroppo è molto sola. Gli unici amici sono una bimba che le ruba il pranzo, una tata, Harriet, e un cane. A proposito del cane, Seiemezza, è il personaggio più riuscito di tutto il romanzo. L’ho adorato dall’inizio alla fine! Ovviamente è un cane superintelligente che conosce un numero elevatissimo di parole , fa pensieri articolati, va a riprendere Madeleine a scuola, e così via.

Insomma, il romanzo è molto articolato, scritto davvero bene, tanto che si legge in poco tempo ed è davvero simpatico se si va oltre al messaggio che (forse) l’autrice voleva mandare.

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